Una luce mai troppo forte e, sempre, un profumo di mille pietanze preparate con amorevole dedizione. Io, ragazzino, osservavo sul camino acceso, a casa di mia nonna, esposte una accanto all'altra, una dozzina di anforette con scritto S. Lucia e l'anno di riferimento.
Erano esposte con orgogliosa ostentazione di fede, simbolo di quei pellegrinaggi "ti li perdunanzi" affrontati all'alba di ogni secondo giovedì dopo Pasqua per 12 km, a piedi, fino al Santuario di Erchie. Un rito tanto ortodosso, per il significato, quanto festoso per la condivisione.
Lo stesso orgoglio della fede che, in altri tempi e in forme leggendarie, la Ragazza siracusana aveva ostentato. La santa, dinnanzi al proconsole Pascasio, contravvenne all'editto di Diocleziano, proclamandosi cristiana. Si cavò gli occhi con le dita, li offrì al suo pretendente che tanto ne era rimasto colpito e lo rifiutò per rispettare il suo voto di castità.
Fu uccisa con un pugnale inferto alla gola il 13 dicembre 304.
Nel sec. XI le sacre spoglie della Santa, ritrovate incorrotte, furono traslate da Siracusa a Costantinopoli dal generale bizantino Giorgio Maniace come dono all'imperatrice Teodora.
(Una teoria minoritaria vuole come destinazione Metz, in Francia, con passaggio dalla costa jonica salentina, zona di Hercle e Abruzzo).
Maniace sarebbe approdato sulla costa salentina per evitare il mare a sud di Otranto, dominio dei mussulmani e, rifugiatosi nelle boscaglie oritane, si stabilì insieme ai suoi soldati in un anfratto nella zona di Hercle.
Si diffuse la notizia della presenza delle Sacre reliquie e molti devoti iniziarono a visitare il luogo.
I monaci Basiliani che si erano stabiliti a circa 1 km di distanza, presso la grotta dell'Annunziata, accorsero per sistemare l'anfratto a cappella con intonaci e affreschi.
I pellegrini si presentavano sempre più numerosi, si diffusero notizie di grandi prodigi ottenuti per la divina intercessione della Santa. Maniace riprese il suo percorso.
Il casale di Hercle legava indissolubilmente il proprio destino alla figura della Ragazza siciliana.
Nei diversi secoli, la cappella e l'intera zona del casale subirono gravi danni a seguito di ripetute inondazioni e guerriglie.
Secondo una leggenda, all'inizio del 500 un vaccaro mentre pascolava le sue mucche nella zona della cappella in un periodo di grave siccità, notò che uno dei suoi animali spesso, durante il pascolo, si allontanava e, incuriosito, lo seguì. Si fece strada tra arbusti e cespugli e, giunto in un avvallamento, trovò la sua mucca che si abbeverava ad una fonte accanto ad una effige di S. Lucia, forse trasportata li da precedenti inondazioni.
Da allora, per i devoti, quella è la sorgente d'acqua "inesauribile e miracolosa".
Nel 600 i Vescovi di Oria che si avvicendarono si occuparono della sistemazione e del restauro del Tempio sottostante.
Venne scolpito un busto ligneo dell'amata Santa che un pellegrino devoto, con il ricavato della vendita di una chiusura d'olive, volle indorare per darne giusto decoro.
Nel petto del busto fu sistemata una reliquia proveniente da Venezia che, trafugata, venne sostituita da un'altra: un lembo di pelle. Il prezioso busto veniva gelosamente custodito in una cavità scavata nel muro, chiusa con serratura. Nel tempio seminterrato venne collocata una statua in pietra recuperata in una villa patrizia e riadattata per la devozione.
Nel 700 venne costruita la Chiesa superiore con lavori che proseguirono fino a tutto il primo ventennio dell'800. I lavori furono rallentati da nuovi crolli del tempio sottostante. Di questo si occupò un gruppo di muratori della vicina Francavilla; uno di loro, un certo Cionfoli, mentre smontava l'impalcatura fu travolto dall'ennesimo, inaspettato crollo.
Con l'obiettivo di recuperare la salma, si scavò per tre giorni, quando finalmente, tra gioia e stupori, il muratore fu ritrovato sano e salvo. Per ringraziare la Santa del miracolo ricevuto, lo stesso Cionfoli volle riprendere le fatiche per ultimare il Tempio interrato che, ancora oggi, trasmette quel profondo e sincero senso di gratitudine. Alte colonne e morbide arcate tramandano sentimenti memorabili.
A metà del 700 fu realizzata un'altra statua in pietra leccese che, poi, avrebbe trovato definitiva sistemazione nel tempio sottostante.
Si rincorrono le epoche, passano gli anni, i costumi, le generazioni ma non gli impulsi del cuore.Rumori, frenesia, ansie, paure d'oggi agitano la mente.
Entro nella Chiesa lasciandomi alle spalle il ritmo veloce della giornata; percorro l'unica navata accompagnato da simulacri divini posti ai lati; di fronte, mi accoglie il maestoso trono dorato della titolare.
Mi avvio verso la porticciola che dà alla grotta. La apro, proseguo. Pochi scalini irregolari, l'atmosfera di un'epoca inesorabilmente passata. Si apre una sala di piccole dimensioni; mi avvolge un silenzio assoluto, protetto da mura possenti, scalfite dal tempo. Affreschi ormai sbiaditi ma ricchi di storia celebrano la scultura che governa la stanza. Di fronte, un piccolo gruppo di anziane signore bisbiglia una catinella veloce, forse già preparata. L'atteggiamento è quello di chi confida un segreto ma con la convinzione che all'amata Lucia quella richiesta sussurrata con voce debole sarà sufficiente per capire le ansie e le paure del vivere d'oggi.
Si prosegue... una scalinata ripida, molto stretta, pareti anguste, luce fioca, sulle ultime pedate si apre un ambiente luminoso, austero, maestoso. Il sacro monumento padroneggia l'ampio locale, sovrasta due scalinate che si congiungono ai suoi piedi. Qui i fedeli hanno riposto i loro segni di speranze mai contaminate: coroncine di rosari, foto, lettere. Più lontano una lapide recita in latino: "O Lucia, tu ridoni la luce; tu, con la luce, togli, agli occhi bisognosi di luce, la notte priva di luce: (...) a.d. 1605".
Il silenzio, qui, è rotto dallo scorrere deciso e forte dell'acqua delle fontanelle davanti ad un'immagine che narra la leggenda della mucca. Una bimba si aggrappa con una mano al cancelletto, con l'altra tiene stretto "lu milicchiu" di terracotta, sulla sua spalla la mano protettiva di una vecchia signora. La bimba è allegra, raccoglie l'acqua della fontanella, orgogliosa e fiera dell'incarico. L'anziana pellegrina aiuta la sua bimba a richiudere l'anforetta per custodire il loro prezioso ricordo. Con l'intento di assicurarsi la divina protezione della Santa e un'espressione mistica, l'anziana accarezza i suoi occhi con la mano bagnata, poi ripete il gesto sulla piccola, a battesimo della sua devozione. Tra i capelli d'argento, raccolti con eleganza, uno sguardo commosso, la signora invita la bimba ad una preghiera insieme. Io le osservo e rivedo in loro una fotografia sbiadita, di tempi passati che mi è familiare.
Mano nella mano, poi, risalgono lentamente una grande scalinata che porta all'esterno, su un piazzale alberato, per raggiungere il loro gruppo.
Un ultimo sguardo, quasi rubato, in senso di commiato, poi il gruppo risale sul pullman. Mai un addio, sempre un arrivederci.